L'Italia nel pallone e il 13 Giugno 2020: un nuovo inizio o l'inizio della fine?

“Un fine settimana con il calcio è più sopportabile di uno senza”. Parola di Markus Soder, leader politico tedesco e governatore della Baviera.


Siamo arrivati in questo inizio di fase 2, la tanto attesa fase 2, che inizialmente venne definita dai tecnici in poltrona fase 1.5 ma che in realtà è diventata fase 2.5 per molti italiani. E’ inutile girarci intorno: l’ottimismo verso il futuro è cresciuto tanto, mentre la tanto temuta curva epidemiologica è calata.


L’italiano, anzi l’europeo, dopo settimane passate in quarantena, tra code al supermercato e passeggiate lunghissime con il cane, è stufo, o meglio, necessita di tornare alla vita pseudo-normale. In sicurezza, con tutte le accortezze del caso, ma tornare alla vita. La ripresa lavorativa in questa fase 2 ha ridato linfa per tante persone (ahimè qualche categoria purtroppo non ha avuto la stessa fortuna, e probabilmente neanche un’adeguata tutela), sia economica che sociale.
Tutti noi vogliamo riprendere la vita di prima, e con essa tutte le nostre passioni: il calcio, senza alcun dubbio, manca un po’ a tutti.

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Ieri in Lega Calcio, le 20 squadre di serie A hanno democraticamente votato per una ripresa, indicando come possibile data X il 13 giugno; ora la palla passa al Governo, i cui tecnici sono chiamati ad approvare il protocollo salute da adottare.
Le polemiche non mancano, l’Italia si spacca a metà tra coloro che vorrebbero accantonare il pallone per un altro po’ e quelli che vorrebbero iniziare il prima possibile.


Nel Mondo, e soprattutto in Europa, sono maggiori i segnali di ripartenza che quelli arrendevoli. Tra i maggiori campionati, Olanda e Francia hanno deciso di non concludere l'annata. In Eredivise non si è assegnato il titolo e sono state bloccate retrocessioni e promozioni, consegnate solamente le squadre che andranno in Europa il prossimo anno. In Francia la situazione è più “ingarbugliata”: titolo assegnato al PSG (12 punti sul Marsiglia secondo e una partita in meno), le ultime due retrocesse e come in Olanda qualificate per le Coppe consegnate. Non sono mancate quindi le polemiche per retrocessioni, titolo e questione Lione, ancora in corsa per i quarti di Champions League.
Germania, Spagna e Inghilterra (con scenari momentaneamente anche più drammatici dei nostri, con un emergenza scoppiata in ritardo rispetto a noi) hanno votato la ripartenza. La Bundesliga inaspettatamente riparte questo sabato, la Premier League il 12 o il 20 giugno, la Liga, ancora titubante, ha indicato come opzioni dei medesimi giorni inglesi.


Spadafora, Ministro per le politiche giovanili e lo sport, esclama “Ho trovato eccessivo l'inasprimento del dibattito intorno al calcio in un momento come questo”. Tralasciando la lunaticità e indecisione che il personaggio ha mostrato in questo periodo indubbiamente difficile, forse ha trascurato qualche numero. La FIGC nel 2018, con l’aiuto di “Deloitte”, una delle più famose società di consulenza, ha studiato e portato in Parlamento un dato emblematico: l’industria calcio è in crescita costante e partecipa a circa il 7% del PIL Italiano. Perciò la sospensione o ripresa del nostro campionato non può essere presa “a cuor leggero”.

Sappiamo tutti che il calcio è uno sport, e come tale non dovrebbe essere prioritario nelle analisi di tecnici e scienziati. Tante le problematiche e gli ostacoli che vanno analizzati: le disposizioni mediche da adottare, gli assembramenti impossibili da evitare tra giocatori, gli spostamenti, quarantene ipotetiche in caso di contagio, chi più ne ha più ne metta.

E’ settimane che il Comitato Tecnico Scientifico, il Parlamento, la Lega Calcio e l’Associazione Calciatori si confrontano, rilasciano interviste, e rimandano la decisione. La verità è che nessuno si vuole prendere la responsabilità di un ipotetico nuovo contagio che possa ledere la salute dei calciatori e delle loro famiglie, e sono tanti i dubbi sul monitoraggio della totale sicurezza degli atleti. Ma non solo degli atleti.


Sì perché il calcio è tanto altro. Non sono semplicemente 22 giocatori che corrono dietro ad un pallone. Partiamo dal giorno della partita, che chiaramente perderà probabilmente uno dei componenti principali di questo gioco: il calore dei tifosi allo stadio, e per salvaguardare quello, in questo momento non è possibile adottare alcuna misura. Però intorno a quella partita ci sono circa 50 calciatori stipendiati in rosa, c’è un arbitro e i suoi assistenti che stanno lavorando, i manutentori del campo da gioco e spogliatoi, le aziende dietro ai cartelloni pubblicitari che scorrono, i cameraman e fotografi che immortalano i 90 minuti, lo staff che va dai preparatori ai dirigenti, dai magazzinieri al presidente, il personale di pullman, treni e aerei che portano la squadra allo stadio, albergatori che ospitano i calciatori, tv che trasmettono la partita in chiaro, prepartita, postpartita, salottini di dibattito, e quindi giornalisti che ruotano attorno al mondo calcistico (nel nostro piccolo anche noi di PianetaFanta.it!), sponsor che utilizzano il calcio come veicolo pubblicitario, merchandising, le società stesse e in alcune anche gli azionisti, tutte persone che non lavorerebbero o sono a rischio se non si tornasse a giocare.

L’italiano, dopo mesi bui, piangendo morti, rimanendo scrupolosamente a casa, probabilmente ha bisogno di speranza per il futuro. Probabilmente il rischio zero nel calcio non esiste, per azzerarlo occorrerebbe stare fermi. 
Concludendo, forse occorre ripartire perché semplicemente il miglior modo di combattere la morte è con la vita stessa. Il calcio non sarà un vaccino, ne’ una cura, non ci riporterà indietro i tanti, troppi morti da inizio pandemia, ma può essere un punto di partenza per il popolo, una speranza, uno svago, un modo leggero per passare il tempo, una valida alternativa dei soliti talk show di virologi, opinionisti e politici, che vanno avanti da mesi senza successo a fare ipotesi, alla ricerca dei colpevoli e delle soluzioni.

13 Giugno: nuovo inizio o inizio della fine? 


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